14 febbraio 2004. Sembra ieri ma sono ormai passati 20 anni dalla morte di Marco Pantani, avvenuta a Rimini: il corpo di uno degli sportivi italiani più amati dei tempi moderni venne trovato in tarda serata nella stanza del Residence Le Rose di Rimini da uno dei portieri della struttura. Un mistero italiano, una morte ancora tutta da chiarire. Non si dovrebbe mai ricordare un eroe dalla sua fine tra le sue agonie, di una vita segnata da crolli, dipendenze, incidenti e processi. Sempre in salita il Pirata, dopo essersi rialzato ancora una volta, ed è così che ancora lo ricordano tutti. Il campione romagnolo, considerato tra i più forti scalatori puri di ogni tempo, entrato nel cuore di tutti gli appassionati di sport. La Gazzetta dello sport di domenica 15 febbraio 2004, omaggia Marco con una foto di spalle a tutta pagina. “Se n’è andato” recita il celebre titolo della rassegna sportiva. Dall’articolo di fondo del suo direttore Candido Cannavò dal titolo “Eroe perduto ti adoravamo”, possiamo leggere: «Ricordo giorni tragici, notti in cui abbiamo maledetto i demoni dello sport e le angosce del nostro mestiere, ma la mazzata che ci è arrivata addosso ieri sera ha pochi paragoni […] L’eroe che ci aveva riportato il ciclismo ai tempi mitici di Coppi é finito in frantumi, é precipitato in una sorta di perdizione volontaria, si é ucciso prima che la notizia della sua morte, piombata ieri sera nelle case degli italiani, avesse i crismi, ormai banali, di una modalità e di una ufficialità. Ma noi, pur atterriti dalle ultime notizie sui brandelli della misera vita di Marco, non osavamo pensare che alla fine ormai certa dell’atleta seguisse così fulminea quella dell’uomo. Evidentemente in Marco le due realtà si sovrapponevano». Marco Pastonesi nel paragonare questo lutto alle grandi tragedie sportive nazionali concluse così il suo articolo interno: «Pensi “se solo”, pensi “se invece”, pensi “se allora”. Pensi che qui è un inferno, che non è giusto, che non si fa così, che prima si scrive una lettera, si dice ciao, si fa così con la mano. Pensi che così non vale. Pensi che lo sport non meriti queste due maledette righe. Perché lo sport è vita, e non è morte. È ridere, e non è piangere. E il copione non dovrebbe prevedere camere di residence, confezioni di medicine, solo come un cane».
La Gazzetta dello Sport di domenica 15 febbraio 2004
«Sono affranto. Qualcuno nel mondo del ciclismo l’ha aiutato, altri no. Marco ha avvicinato al ciclismo tanta gente. Quello che ha fatto rimarrà per sempre nella storia: è stato il più grande campione degli anni Novanta e non solo del ciclismo. Piango e basta»
Davide Cassani
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