Gian Maria Volontè
Il ricordo di uno dei più grandi interpreti della settima arte. Sul Corriere della Sera di mercoledì 7 dicembre 1994 la prima pagina è quasi interamente dedicata alla volontà di lasciare la magistratura di Antonio Di Pietro. La notizia della morte di Volontè trova spazio nel taglio basso. I giornalisti Kezich, Manin e Porro scrivono di lui: «Volontè era uno dei più significativi e popolari interpreti del cinema italiano, che sapeva unire all’impegno civile un’eccezionale versatilità. Dotato di forte tensione morale, portato alla denuncia, sapeva contestare con grande professionalità». Ramon Rojo in “Per un pugno di dollari” (1964) è stato il cattivo per eccellenza degli spaghetti western di Sergio Leone. Fra i suoi ruoli più celebri: il redattore capo Bizanti di “Sbatti il mostro in prima pagina” (Marco Bellocchio, 1972), il presidente Enrico Mattei, ne “Il Caso Mattei” (Francesco Rosi, 1972) e Aldo Moro “Il caso Moro” (Giuseppe Ferrara, 1986). Attore prediletto del regista Elio Petri nei ruoli indimenticabili del Dottore in “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” (1970), di Lulù in “La classe operaia va in paradiso” (1971) e del notabile democristiano di “Todo modo” (1976). Sotto la guida del regista romano ha raggiunto livelli di recitazione assoluti e difficilmente eguagliati nel cinema. «Posso dirvi che vedendo Gian Maria Volonté, capirete cosa vuol dire il mestiere dell’attore» (Giuliano Montaldo). Trovò la morte il 6 dicembre 1994 nel bagno della sua stanza all’albergo Lyngos a Florina, nella Grecia settentrionale, dove si trovava per le riprese del film “Lo sguardo di Odisseo” di Theodoro Angelopulos. Le sue spogli riposano, come da sua volontà, sotto un albero nel piccolo cimitero de La Maddalena, in Sardegna. «Ha regalato se stesso ai personaggi che ha interpretato, e ce li ha lasciati. Riscoprirli è una lezione di cinema, di vita, di rigore. Ne abbiamo bisogno». (Carla Gravina)
«Ha regalato se stesso ai personaggi che ha interpretato, e ce li ha lasciati. Riscoprirli è una lezione di cinema, di vita, di rigore. Ne abbiamo bisogno»
Carla Gravina – Corriere della Sera mercoledì 7 dicembre 1994
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