9 febbraio 2009. Eluana Englaro è stata una donna italiana che, a seguito di un incidente stradale, avvenuto il 18 gennaio 1992, ha vissuto in stato vegetativo per 17 anni, fino alla morte sopraggiunta a seguito dell’interruzione della nutrizione artificiale il 9 febbraio 2009. Tre giorni prima, il 6 febbraio, i medici della RSA “La Quiete” di Udine avevano sospeso l’alimentazione e l’idratazione artificiale che tenevano in vita Eluana. Per ottenere questo risultato, la famiglia Englaro dovette affrontare una lunga vicenda giudiziaria; undici anni di processi, quindici sentenze della magistratura italiana e una della Corte Europea, l’opposizione del governo in carica e le proteste, le manifestazioni e gli appelli di numerose associazione, in gran parte cattoliche. Il Corriere della Sera di martedì 10 febbraio 2009 porta in primo piano una grande foto della ragazza prima dell’incidente stradale. Nell’articolo di fondo di Claudio Magris possiamo leggere: «Ci si può affidare solo a un vago e sempre fallibile buon senso, che nel caso di Eluana Englaro sembra indicare come fosse tragicamente comprensibile lasciarla morire. Ossia aiutarla a morire, perché in questo campo non sono lecite ipocrisie: togliere cibo o altre sostanze necessarie per vivere significa togliere la vita; pure chi, seguendo la Chiesa che condanna l’accanimento terapeutico, smette di fornire al paziente le cure per la sua sopravvivenza deve sapere che egli lo abbandona alla morte e in certo senso gli dà la morte, perché ritiene sia, in quella circostanza, la cosa meno inumana».
Corriere della Sera di martedì 10 febbraio 2009
«A differenza dalla sua fase iniziale, in quella finale la vita non conosce un punto preciso in cui essa possa considerarsi conclusa; si sa quando si abortisce, quando si interrompe la vita di un individuo, ma non si sa quando sia lecito o pietoso staccargli la spina»
Claudio Magris
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