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1 maggio 1994. Trent’anni fa l’ombra della morte attende Ayrton Senna a Imola, nello spazio compreso tra la pista e il muro di contenimento della curva Tamburello. Non c’è margine di manovra, non c’è tempo per la reazione. Il piantone dello sterzo che si rompe, la carambola della Williams, la velocità che in poco meno di due secondi scende da 310 a 211 km/h, l’impatto col muretto. A uccidere il brasiliano a soli 34 anni è un un braccetto della sospensione, proiettato dall’angolazione dello schianto dritto verso il suo casco. Lo colpisce sopra l’occhio destro, la ferita è mortale. La Gazzetta dello Sport di martedì 3 maggio 1994 titola: «Con Senna muore questa Formula 1». Nell’articolo dedicato “La tragedia in un mare d’ipocrisia” a cura del direttore Candido Cannavò possiamo leggere: «La pietà per l’uomo che se n’è andato in quel modo così agghiacciante è immensa. L’uomo dico, al di là del campione. Senna merita questo distinguo: lui aveva la grandezza e la vulnerabilità di Fausto Coppi […] Con Senna a Immolano è morta la Formula 1, ma “questa” Formula 1 uscita dai confini già inquietanti del suo rischio naturale. Bisogna tornare indietro e correggere gli errori più vistosi. Subito. Altrimenti sarà la fine».
Gazzetta dello Sport di martedì 3 maggio 1994
«Alle 14.17 del primo maggio, mentre tanta Italia sciamava nei prati, si è sparsa la voce che Senna stava morendo sulla pista di Imola. E allora è avvenuto un fatto mostruoso, tipico dell’era televisiva: la più grande celebrazione della morte in diretta e del suo fascino irresistibile»
Candido Cannavò
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